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Val Sarentino

Mario Rigoni Stern

Natale

"Burlotti raccontò di aver sentito da un conducente che, in occasione del Natale, ci avrebbero distribuito dei pacchi: c'era da sperare in questi perché il rancio sarebbe stato più magro del solito. Quando, infine, si accostò al fuoco il postino della compagnia, inzaccherato fino ai capelli, ci dichiarò sfiduciato che il suo viaggio nelle retrovie era stato inutile perché la posta non era arrivata.

Desideravo una sua lettera, vedere ancora quella busta rettangolare con il mio indirizzo, e quel foglio, e parole da leggere: che mi dicessero magari di un compito in classe, di passeggiate sulla Riva degli Schiavoni, di sole domenicale, di voci di ragazze.

Nevicava sempre e stemmo, quella sera, per lunghe ore attorno al fuoco senza parlare: a farci tormentare dai ricordi e dai pidocchi.

All'alba, invece delle campane, sentimmo sparare il grosso calibro delle retrovie, ma subito, tra la neve che continuava a cadere, ritornò una grande pace. Menini e Guardini andarono a portare un plico verso il Comando di divisione; io, assieme al Tobegia, andai a messa.

Un cappellano celebrava in un bosco, tra rocce defilate. Eravamo una trentina di alpini, dentro le nostre corte mantelline e piantati nella neve fino alle ginocchia. Né preghiere, né canti. Baiocchi, che serviva, diceva ogni tanto amen.

Pensavo a come poteva essere la messa di Natale nella Basilica di San Marco, con i guizzi delle candele sui mosaici dorati, l'organo, i cori, e anche lei che cantava sotto le grandi cupole. E tutta la gente felice farsi poi gli auguri sulla piazza e prendere la cioccolata nei caffè.

Pensavo a come poteva essere il Natale al mio paese, sulle montagne, con i gruppi che dalle contrade scendevano al centro cantando la Gran Stella: la neve crocchiava sotto i chiodi degli scarponi, il fiato usciva dalle bocche in nuvolette bianche e le labbra delle ragazze invitavano baci. Tutti i cori, poi, dentro la chiesa diventavano uno solo e le navate rimbombavano, e non sentivi più le campane. E il
vecchio parroco che certamente avrebbe parlato di noi lontani, e di pace per gli uomini di buona volontà. A casa la legna avrebbe bruciato allegra dentro i forni di cotto, tenuti accesi dal vecchio zio brontolone e miscredente, per riscaldare gli infreddoliti dalla messa dell'alba.

Fissavo un pettirosso dentro un cespuglio: aveva le penne arruffate e sembrava uno di noi. Ogni tanto si scuoteva dalla neve e cambiava ramo come noi il piede per posarci. Cantò lui, con un lieve tintinnio d'argento.

Il Tobegia disse: "Andiamo, il prete ha finito".


Mario Rigoni Stern, Storie dall'Altipiano - Quota Albania; i Meridiani - Mondadori

 

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